Eventi chiave
Il 2020 si è aperto con lo scoppio della crisi USA-Iran. Il drammatico abbattimento di un aereo di linea ucraino da parte della contraerea iraniana ha probabilmente stroncato sul nascere una pericolosa escalation della situazione (innestando nel contempo delle rivolte di piazza in Iran).
A fine gennaio è invece esplosa la crisi sanitaria legata al coronavirus: l’incremento dei contagi (e delle vittime) ha indotto l’OMS a decretare un’allerta generale in merito a questo nuovo rischio di pandemia.
Molti paesi hanno interrotto i loro collegamenti aerei con la Cina e Wuhan, metropoli epicentro dell’infezione, è stata messa in quarantena dalle autorità; inoltre diverse importanti società internazionali hanno deciso di chiudere provvisoriamente le loro sedi in Cina.
In Europa è ora di BREXIT: allo scoccare della mezzanotte del 31 gennaio il Regno Unito si è ufficialmente staccato dall’Unione Europea; parte ora un’altra fase molto delicata, durante la quale dovranno essere definiti i parametri degli accordi commerciali (e non solo) tra le due aree commerciali. Tecnicamente UK ed UE hanno a disposizione 11 mesi per finalizzare tali accordi, ma è facile ipotizzare che ancora una volta i tempi verranno dilazionati.
Si allontana il rischio di impeachment del Presidente USA: il senato (a maggioranza repubblicana) come prevedibile ha adottato un atteggiamento di difesa nei confronti del proprio Presidente, decretando di fatto (a meno di clamorose sorprese) la chiusura della procedura in tempi brevi.
Anche sul fronte internazionale si rasserena la posizione di D. Trump, che a metà mese ha siglato la “Fase 1” degli accordi commerciali con la Cina.
“We mark more than just an agreement. We mark a sea change in international trade. … At long last, Americans have a government that puts them first. This is a big win for the president” “It's not everything, there will be a 'Phase 2.' But this is the first time we've had a comprehensive agreement with China.”
D. Trump (US President) and S. Mnuchin (US Treasury Secretary)
Come sottolineato negli scorsi mesi, siamo certi che questo non significhi la fine dei contrasti tra i due paesi: l’annunciata apertura, ancor prima delle elezioni USA di novembre, di una “fase 2” è già sin d’ora garanzia di futuri giochi di equilibrio politico-economico che riproporranno le medesime tensioni degli scorsi mesi.
Un ultimo accenno alla campagna elettorale USA che, seppur non ancora entrata nel vivo, inizia già a dare le prime indicazioni, come ad esempio la risalita di B. Sanders nella graduatoria delle preferenze all’interno del partito democratico.
Prospettive
Un elemento fondamentale da valutare nel breve-medio termine sarà l’impatto economico che la crisi sanitaria avrà sull’economia cinese e su quella mondiale: nel caso l’allarme dovesse rientrare in tempi relativamente brevi, ci possiamo aspettare una veloce ripresa degli indicatori macroeconomici e dei valori finanziari (come fu il caso in occasione della SARS e di altre pandemie sviluppatesi negli ultimi decenni).
Qualora invece la crisi dovesse protrarsi più a lungo, gli impatti sull’economia internazionale lascerebbero sicuramente dei segni più profondi.
Se da un lato i governi di tutto il mondo si sono già attivati per frenare il rischio di contagio tra la popolazione, è assai probabile che anche le maggiori banche centrali del mondo stiano monitorando da vicino l’impatto economico e finanziario della crisi, pronte una volta di più ad intervenire nel caso si presentasse la necessità.
Questa nuova situazione si aggiunge ai diversi fattori che ci hanno accompagnato anche nel corso del 2019 e contribuirà a rendere più incerto lo sviluppo degli asset finanziari.
Inoltre, come già detto, si avvicina la fase calda della compagna elettorale USA: sicuramente il desiderio di D. Trump è quello di vedere dei mercati positivi (per incrementare le sue probabilità di vittoria); sarà importante capire chi sarà il candidato designato dal partito democratico e le sue eventuali chances di vittoria in novembre.
Le banche centrali manterranno una politica monetaria espansiva (mai nella storia la FED ha alzato i tassi in un anno elettorale) che, sommata all’abbondante liquidità tuttora presente sui mercati, dovrebbe contenere le probabili flessioni degli asset finanziari internazionali.